Viaggi, vacanze e futuro protagonisti sulle passerelle parigine
Quando riportato dal sole 24 ore Una vena escapista ha percorso la lunga fashion week parigina. L’altrove, di qualunque natura esso sia – hippie, libertario, vacanziero, galattico – tenta più del “qui e ora”, e non è difficile capire perchè. Pierpaolo Piccioli, da Valentino, non si arrende alla bruttura del tempo, combattendo con poesia. Lirico e ispirato, parla della libertà di essere se stessi, convinto che questa ricerca non sia fuga dalla realtà ma presenza nel momento. Lo fa attraverso abiti dai movimenti liberi, glorificati dal nero opaco e potente o elettrizzati da stampe frenetiche, frementi di piume, in uno scintillare di cristalli sugli occhi e le bocche e un occhieggiare di logo. Una visione lieve e invero presente, ancorata al suolo da sandali piatti, da sciamana (di piazza Mignanelli, certo). Un viaggio liberatorio, il cui punto di partenza sono le comunità di artisti che all’inizio del secolo scorso proponevano forme di coesistenza alternative alle convenzioni imperanti, momenti di aggregazione e liberazione lontano da tutto. Un percorso il cui punto d’arrivo è un guardaroba da borghese bohenienne che ha deciso di rinunciare agli schemi, ma non alla couture, che per Piccioli non è tanto estetica di grandeur, quanto valore, modo di far le cose, agente aggregante che avvicina invece di allontanare. È in questa ispirata concretezza che la collezione splende, ancorata a una verità palpabile che informa gli abiti come un filamento incancellabile di dna.
La neo hippie di Loewe è vestita di strati, adornata di piume e porta una bisaccia a tracolla. Nasconde lo sguardo dietro mascherine aerodinamiche e calza scarponcini chiusi da cinghie o aperti sulle dita, nomade per posizione mentale ancor più che per stile di vita. Il direttore creativo Jonathan Anderson definisce una precisa personalità femminile, la cui libertà di schemi è palpabile e la cui sensualità traspare pure nascosta sotto sovrapposizioi quasi invernali. Spirito artistico come nonchalance: ecco il messaggio.
Da Chanel l’azione si sposta sulla battigia, riprodotta con sorprendente effetto realtà sotto le volte ferrate del Grand Palais. Una messa in scena che suggerisce spensieratezza. Anche la collezione è spensierata: le modelle attraversano la spiaggia con le ciabattine di pvc in mano, per poi calzarle sul lungomare. Indossano leggings o gonne corte, giacchine dai volumi ampi e sfuggenti, abiti lunghi. Un po’ di tutto, ecco, perchè la valigia per andare al mare la si prepara sempre a casaccio. Lo spirito balneare è nel dna Chanel: Coco, del resto, fece fortuna a Biarritz e a Deauville, ma adesso Karl Lagerfeld non omaggia quegli anni di eleganza languida tra le guerre. Pensa al qui e ora: ad una clientela di madame la cui aspirazione è apparir per sempre giovani.
Da Louis Vuitton, Nicholas Gesquiere esplora con piglio visionario e sperticata inventiva sartoriale il tema del viaggio, tratto saliente dell’identità della storica maison, accelerando verso il futuro. Un tunnel trasparente come il ponte di una nave spaziale attraversa il cortile del Louvre, aprendo un varco attraversato da guerriere galattiche, virago combattive, coriacee bamboline vestite di abiti che sono somme geometriche di parti tenute insieme da un savoir faire unico nel plasmare la materia. Il collage frenetico e psichelico di forme che appartengono agli anni ottanta come alle armature orientali si traduce in una proposta moda forte, ma cosí vorticosa da confondere.
Cambio di scena repentino, in fine, da Miu Miu. Qui l’utopia rovina e una luce bianca, crudele e infingarda rivela i lividi sotto il glitter mentre un plotone di bruttine squinternate con abiti belli sui quali sembra essere passata una falciatrice, una grattugia, una mannaia, marcia traballante sugli zatteroni di raso. È l’indomani della festa, ma la festa chiaramente è andata male: i capelli sono sporchi, la gonna s’è strappata riducendosi a sola fodera, le paillette sbrilluccicano un po’ meno. È il walk of shame delle cinque del mattino, alla maniera di Miu Miu: centrifugato di couture perbenista e jeans proletario con sciabordate di trash da nightclubbing. Iconoclasta e dubitabonda, Miuccia Prada rinuncia a ogni certezza per esplorare con sommo snobismo gli angoli bui del brutto artistico. Ha una sua idea di bello, soggettiva e fuori registro, che fa i conti con il vero, e per questo appare lieve, nonostante il vetriolo.
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