ra le evoluzioni più interessanti da osservare – e tentare di comprendere – del retail contemporaneo, sul quale si è abbattuto il ciclone internet, c’è quella delle piattaforme che nascono online, come e-commerce puro, e poi sbarcano, in modi diversi, nel mondo reale. Lo ha fatto prima di tutto Amazon, il più grande ipermercato virtuale del mondo occidentale (in Asia la leadership è di Alibaba e dei siti controllati): da anni Jeff Bezos sta sperimentando e portando la sua insegna nel mondo fisico. Ha iniziato dalle librerie – visto che i libri furono il primo prodotto a essere venduto su Amazon – per poi passare all’alimentare. Amazon, abbiamo detto, è oggi un ipermercato: vi si trova di tutto, abbigliamento e accessori compresi, ma non di alta gamma. In quel campo Bezos ha capito che servono specialisti, non ipermercati.
Il fenomeno del «preowned»
Relativamente giovane come tipologia di siti, sta quindi evolvendo rapidamente anche la categoria delle piattaforme che si occupano di rivendere articoli di lusso. Seconda mano suona forse un po’ male, ma di questo si tratta, anche se i fondatori di questi siti preferiscono usare il termine «re-selling» o «pre-owned» (precedentemente posseduto da qualcun altro, dovremmo dire in italiano). Tra questi siti lil più famoso è Vestiaire Collective, nato nel 2009 in Francia e che oggi ha oltre 7 milioni di membri attivi: ieri ha annunciato una mossa curiosa, l’apertura di un pop-up a Bologna, presso la boutique multibrand L’Inde Les Palais (nella foto in alto). La selezione proposta comprende i pezzi più iconici di abbigliamento e accessori di Louis Vuitton, Hermès e Chanel – si legge nella nota ufficiale appena diramata –. Per una settimana, fino a mercoledì 29 maggio, sarà possibile acquistare, ad esempio, diversi modelli di borse Birkin e Kelly di Hermès, la 2.55 di Chanel, la Little Black Jacket, sempre di Chanel o la borsa da week end di Louis Vuitton modello Keepall (quella che Michail Gorbaciov aveva con sé nella famosa pubblicità di alcuni anni fa, che lo ritraeva in macchina con accanto la borsa e, sullo sfondo, quel che restava del muro di Berlino).
I precedenti
Il progetto di Bologna segue la realizzazione di altri pop-up store (come quello di Selfridges a Londra o di Merci a Parigi) e un’altra particolarità è che fino al 29 maggio sarà anche possibile depositare in boutique articoli per la vendita attraverso il canale e-commerce.
Gli scenari futuri
Un interessante report appena pubblicato da Bernstein, si chiede: Does luxury re-sale make aspirational luxury obsolete? (Il lusso di seconda mano fa diventare obsoleto quello aspirazionale?). La domanda nasce in particolare dai prezzi: i marchi del segmento aspirazionale, il cui esempio più noto, tra gli accessori, è Michael Kors, coniugano negozi nelle location prime, pubblicità patinate, concept retail sofisticati, da alta gamma, appunto, con entry price molto diversi da quelli del lusso. Una borsa di media grandezza di Chanel in pelle non costa meno di 2.500-3mila euro; una di Michael Kors tra i 400 e i 500. C’è un abisso, ovviamente, tra i due prodotti, e chi può ha continuato a optare per il lusso puro, trascurando quello aspirazionale (che è ovviamente meno esclusivo). Ma siti come Vestiaire Collective permettono di pagare fino al 40-50% in meno i prodotti di lusso. Magari delle stagioni precedenti, magari con qualche difetto legato all’uso, ma pur sempre convenienti rispetto al prezzo retail. E con un prestigio e un allure che in certi casi l’aria “usata” arriva persino ad aumentare.
L’aspetto dell’economia circolare
C’è poi un altro motivo, aldilà delle analisi di Bernstein, che potrebbe aumentare ancora il successo di siti come Vestiaire Collective: a loro modo fanno parte dell’economia circolare, un modello alternativo che piace molto ai consumatori più giovani e più attenti alla sostenibilità. Non stupisce che Vestiaire Collective abbia condotto un sondaggio globale proprio per comprendere la consapevolezza, gli interessi e i comportamenti dei consumatori nei confronti della moda sostenibile e circolare. Il sondaggio è stato condotto in 10 mercati in Europa, Stati Uniti e Asia-Pacifico e affronta la complessità del rapporto tra quello che pensano i consumatori e le loro azioni concrete in materia di sostenibilità nella moda. In virtù dei risultati del sondaggio e in linea con l’impegno di adesione ai principi di moda circolare da qui al 2020 (iniziativa promossa dalla Global Fashion Agenda), Vestiaire Collective ha creato La guida definitiva alla moda circolare, affinché i consumatori compiano scelte più sostenibili in fatto di moda e riducano il proprio impatto ambientale.
Il sondaggio sulla sostenibilità di Vestiaire Collective
Nel complesso, è emerso che il 77% dei consumatori intervistati in Europa, America e Asia-Pacific ritiene che la sostenibilità della moda sia importante. Tra questi, il 39% afferma che il settore della moda debba fare un uso più efficiente delle risorse, mentre il 41% sostiene che debba offrire una maggiore scelta di opzioni sostenibili. Tuttavia, in generale, solo il 29% dei consumatori intervistati in tutto il mondo ha riconosciuto il termine “moda circolare”, o è stato in grado di individuare una delle sette definizioni di tale sistema.
I mercati che attribuiscono una maggiore importanza alla moda sostenibile sono il Sud Europa e Hong Kong: l’85% degli intervistati italiani, l’83% di quelli spagnoli e l’81% di quelli di Hong Kong ritengono infatti che la sostenibilità della moda sia importante. Fanalino di coda è risultata essere la Danimarca, dove solo il 61% degli intervistati ritiene che la moda sostenibile sia importante.
Il ruolo dei Millennial
Uno sguardo più approfondito sui comportamenti generazionali dimostra che, in generale, i millennial attribuiscono a questo tema la massima importanza. Il livello maggiore di consapevolezza, invece, appartiene a Hong Kong, dove il 49% degli intervistati ha affermato di essere consapevole della moda circolare, dimostrando anche di possedere una discreta conoscenza al riguardo, dato che quasi metà del gruppo è stato in grado di identificarne almeno una tipologia.
In generale, la consapevolezza nei confronti della moda circolare risulta maggiore tra i millennial rispetto a gruppi di età superiore; l’unica eccezione è rappresentata dalla Danimarca, dove il livello di consapevolezza raggiunge la percentuale massima del 50% nel gruppo di persone di età compresa tra 36 e 40 anni, diminuendo invece sensibilmente tra gli intervistati più giovani.
Le scelte già diffuse
Nonostante solo il 29% degli intervistati conosca il termine “moda circolare”, di fatto solo poco meno della metà mette in pratica una delle tipologie di moda circolare. Complessivamente, il 46% degli intervistati ha rivelato di donare i propri vestiti in beneficenza, il 34% ha affermato di scambiare vestiti e accessori con amici e famigliari, il 31% ha detto di aver consegnato i vestiti danneggiati presso i centri di riciclo dei tessuti, mentre solamente meno di un terzo ha venduto o acquistato vestiti second-hand. I risultati del sondaggio dimostrano che, in generale, viene attribuita una grande importanza alla moda sostenibile; tuttavia, esiste un basso livello di consapevolezza per quanto riguarda le pratiche di moda circolare che permetterebbero ai consumatori di agire in maniera diretta. Inoltre, è emerso un lieve calo nell’importanza della sostenibilità nel gruppo di intervistati under 25, il che suggerisce che, persino nei mercati con i più alti livelli di consapevolezza sul tema, resta la necessità di continuare a coinvolgere le nuove generazioni. Oltre un terzo degli intervistati ha risposto che una maggiore sensibilizzazione o un’informazione più accessibile sul tema delle pratiche di moda circolare aumenterebbe le probabilità di partecipazione, mentre un ulteriore 42% ha affermato che i brand dovrebbero offrire soluzioni più accessibili.