La ricerca pittorica di Pietro Gardano, in arte Gard, si sviluppa in una fusione di irrazionalità e razionalità, che si avvale di elementi scaturenti dalle suggestioni e propone una realtà che, trascendendo la stessa materia, si evolve verso un’espressività spirituale percepita con rigore più assoluto nelle stesse immagini cromatiche dall’essenza conturbante in continuo rapporto percettivo con la sua psicologia. L’opera di Gardano si fonda sul succedersi scandagliato delle tramature di colore, più o meno ordinate, passando da una prevalente attitudine di ricerca, nell’ordine e nella simmetria, ad una strutturazione che rasenta l’informale. La spazialità si conferma come punto cardinale di un lavoro nello spazio che si snoda, ad inverare una sua discendenza astratto/geometrica, che può volere dire, una consonanza intellettuale dell’improbabilità, della diffusione del gesto, della trasparenza, della sovrapposizione, in uno sperimentalismo che non si ferma, perché non si pone obiettivi e non trova ostacoli, nella sua fenomenicità pura, assoluta, quasi, nel suo essere processualista di un accadere, che poi si ferma, per un momento, ma è pronta per ripartire, non avendo nessuna simbolicità di riferimento, ma solo la propria materialità, la propria continua composizione e scomposizione, la propria visibilità.
Le opere che popolano lo studio di Gardano convivono armoniosamente abitando lo stesso spazio fisico, in una dimensione temporale sospesa. Sono loro che accolgono l’artista ogni giorno in maniera nuova, inaspettata a seconda delle luci o della colorazione, sempre diversa, con cui l’artista dispone la pittura nello spazio, in una costante ricerca di ordine e di equilibrio perfetto. “Poetico”, non tanto nel senso di vaghezza di pensiero o di ricercatezza del gesto elevato ma, in ultima analisi, effimero: si tratta di un artista che costruisce un ponte fra sé ed il mondo in modo decisamente concreto, e che adopera tutte le strategie che conosce, dalla bellezza fisica a consapevoli riferimenti pittorici, per raggiungere questo scopo. Notoriamente è difficile, se non addirittura impossibile, definire la bellezza. Eppure, l’opera di Gardano offre dei piaceri visivi apprezzabili da tutti: superfici delicate e quasi sensualmente tattili, colori e forme appena sufficientemente diversi dalla familiarità così da intrigare e stupire ogni volta lo spettatore. E sebbene i suoi colori altamente seducenti siano quasi naturali, essi si oppongono con forza a quanto affermato dall’Urna greca di Keats: la bellezza non è tutto quello che sappiamo né tutto quello che dobbiamo sapere. La storia d’artista, di Pietro Gardano, è tipicamente architetturale, quindi, queste sue liberazioni spaziali, sono una conseguenza, delle sue misure proiettate nell’ermetica del profondo, nella segnaletica autosufficiente dell’indefinito. L’opera spesso è una proiezione di ambienti, che si fanno geometria, che si fanno scrittura, trovando lo spessore di un panottico, a più schermi, che visti nel loro insieme, diventano enigma geometrico, matematico, con un suo preciso fascino visivo, quasi una carta assorbente, che da un lato si fa spugnosa, contenitrice di labirinti, che affascino un vuoto e lo rendono pieno, dall’altro si fa tutta riflettente, come una posizione stellare che illumina un buio e rimanda indietro i segni e le macchie, di un vedere che è sospeso, ondivago, come avviene ad una lievitazione, ad una leggerezza. Un mondo intimo quello di Pietro Gardano diviso tra la ricerca della purezza assoluta e la consapevolezza della percettibile contaminazione del reale.