Sembra impossibile, a ripensarci oggi. Eppure c’è stato un tempo, affatto lontano, in cui la Camera della moda di New York e i giornalisti americani – forse un po’ meno gli stilisti – sembravano convinti che la fashion week locale avrebbe prevalso su quelle di Milano, Londra e forse persino Parigi. Accadeva all’alba del nuovo millennio e il clima di incertezza post 11 settembre 2001 fu cavalcato – il verbo non sembri irrispettoso – anche per giustificare un inedito campanilismo in fatto di moda e fashion week. Gli Stati Uniti si sono ripresi dallo choc degli attentati di 17 anni fa, hanno superato la crisi economico-finanziaria innescata dal crack di Lehman Brothers nel 2008 e restano, almeno per ora e finché non saranno sorpassati da Cina e India, la prima economia al mondo. Ma New York non è riuscita nel suo intento: l’ambizione – che era in primis di Anna Wintour, la giornalista di moda più famosa e potente al mondo – di togliere luce alle altre capitali del prêt-à-porter è rimasta un sogno.
Le fashion week di New York si sono progressivamente ridotte a contenitori di eventi più simili a spettacoli che a sfilate e presentazioni. I grandi nomi della moda americana, capeggiati da Ralph Lauren, non hanno mai tradito la città, ma le maison italiane e francesi hanno cambiato strategia: non partecipano più ai calendari ufficiali, preferendo organizzare eventi spot. Prada, per esempio, ha sfilato di recente in un ex studio di posa di Manhattan, Chanel ha scelto il Metropolitan Museum.
Si tratta, appunto, di incursioni, non di presenze fisse. Anche Londra sembra essere in crisi di identità, tradita di recente persino da marchi iconici come Vivienne Westwood, Burberry, Daks, Aquascutum. Resta il fascino della città, certo; l’innegabile merito di aver dato inizio, negli anni 60,70 e 80 a piccole grandi rivoluzioni del costume.
La moda contemporanea però preferisce altre vetrine. Ovvero Milano e Parigi. La prima da oggi raccoglie il testimone da Firenze e offre la settimana della moda uomo più ricca e completa al mondo. La seconda può contare sulla presenza dei marchi dei due principali gruppi del lusso al mondo, Lvmh e Kering e può vantare, oltre alle settimane dedicate al pret-à-porter femminile e maschile, quelle per l’alta moda.
Il duello è perenne, tra Milano e Parigi. Ma si tratta di un duello tra gentiluomini (o gentildonne) e ad armi pari. Forse non sarebbe nell’interesse di nessuna delle due che ci fosse un netto vincitore, anche perché le due città hanno caratteristiche diverse e solo insieme possono offrire la giusta vetrina per tutti. O meglio: tutti i marchi e le aziende, piccole, medie o grandi, di nicchia o legate a grandi numeri o target di riferimento; tutti gli stilisti, emergenti o affermati o magari in fase di rilancio, possono trovare, a Milano o a Parigi, un posto al sole. Il pubblico (operatori del settore, giornalisti e, in anni più recenti, blogger e influencer) è assicurato. L’attenzione mediatica pure, amplificata dall’uso di internet e dei social network.
Duole segnalare pertanto che Parigi in questa tornata, che si terrà subito dopo Milano, dal 15 al 20 gennaio, sia funestata dal movimento dei gilet gialli ed è difficile prevedere cosa succederà da qui a un mese, quando a Parigi ci sarà la moda donna (25 febbraio-5 marzo). Le proteste, sfociate spesso in violenza e guerriglia urbana, che hanno paralizzato la capitale e altre città dalla fine di novembre, hanno fatto crollare vendite natalizie e saldi. E hanno fatto ripiombare la città nell’atmosfera cupa del 2015, quando fu colpita dagli attentati terroristici.
Alcune delle sfilate di sabato 19, tra le quali Loewe e Dior – attesissima in quanto prima, vera, prova del designer Kim Jones – sono state spostate. Hermès è al momento confermata perché è in programma alle 20, lontano dall’ora di punta dei disordini. Si attendono le conferme di Thom Browne (brand controllato da Zegna) e delle altre maison. Poco male, si dirà. Ma la moda vive, anche, di leggerezza (oltre che, naturalmente, di vendite nei negozi): le nubi della violenza e la spinta a rintanarsi in casa, per paura dei gilet gialli oggi, dell’altro, semplicemente, domani, sono una brutta notizia per tutti. Nessuno a Milano, crediamo, gioisce per le difficoltà di Parigi.
fonte:sole24oremoda scritto da: Giulia Crivelli