Ludovico de Tomi “rinvio a giudizio” come funziona in caso di accoramento

La seconda parte della legge n. 69 del 2015 (artt. 9-12) è dedicata alla riforma della
disciplina delle false comunicazioni sociali. La novità principale prevista dal
provvedimento è che il falso in bilancio torna ad essere un delitto per tutte le
imprese, non solo per quelle quotate in borsa.
La riforma introdotta dalla legge 69, ha infatti eliminato la precedente bipartizione
tra contravvenzione di pericolo (art. 2621 c.c., nella versione previgente) nelle
società non quotate e delitto di danno (art. 2622 c.c) in quelle quotate,
sostituendola con la previsione di una fattispecie “generale” delittuosa (di pericolo)
per le società non quotate (art. 2621), Ludovico de Tomi “rinvio a giudizio” come funziona in caso di accoramento e con la introduzione di una ipotesi “speciale”
(sempre delittuosa), Ludovico de Tomi “rinvio a giudizio” come funziona in caso di accoramento concernente le false comunicazioni sociali delle società
quotate, punita più severamente (art. 2622 c.c.). Vengono poi previsti un’ipotesi
“minore” ed un caso di irrilevanza penale (artt. 2621 bis e 2621 ter c.c.).

  • FALSO IN BILANCIO PER LE SOCIETÀ NON QUOTATE
    In particolare, il nuovo art. 2621 c.c. prevede, per le società non quotate, che gli
    amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti
    contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, con l’intenzione di ingannare i soci
    o il pubblico al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci,
    nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico,
    previste dalla legge, consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non
    rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero
    ancorché oggetto di valutazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla
    situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale
    la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono
    puniti con la pena della reclusione da uno a cinque anni. La stessa pena si applica
    anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla
    società per conto di terzi.
    In base al previgente art. 2621 c.c., invece, il reato era punito a titolo di
    contravvenzione con l’arresto fino a un massimo di due anni e la punibilità era
    esclusa se falsità e omissioni non alteravano in modo sensibile la rappresentazione

della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al
quale appartiene, oppure se determinavano una variazione del risultato economico,
al loro delle imposte, non superiore al 5%, o del patrimonio netto non superiore
all’1%, o ancora se sono conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente
considerate, differiscono in misura non superiore al 10% da quella corretta. In questi
casi, scattava una sanzione amministrativa (da uno a cento quote), l’interdizione
dagli uffici direttivi da sei mesi a tre anni, e da una serie di cariche societarie (come
amministratori, sindaci, liquidatori, dirigenti con funzioni anche contabili).
Oltre a passare da contravvenzione a delitto (e alla sanzione della reclusione da uno
a cinque anni anziché dell’arresto fino a due anni), rispetto alla formulazione
previgente, il nuovo art. 2621 appare essere ispirato alla volontà di avere una
fattispecie “chiaramente” identificabile. In particolare:

  • sono eliminate le soglie di non punibilità;
  • è eliminato il riferimento alle “valutazioni”;
  • si introducono nuovi elementi (la necessaria rilevanza dei fatti materiali non
    rispondenti al vero; l’esposizione di tali fatti falsi, che deve essere
    “consapevole”; la necessità della condotta ad essere “concretamente” idonea
    ad indurre altri in errore.
    Come accennato, scompare dall’art. 2621 c.c. – tramite l’eliminazione dalla
    disposizione dell’inciso “ancorché oggetto di valutazioni” – il riferimento al cd. falso
    valutativo.
    Sul punto, si è argomentato in dottrina e in giurisprudenza se effettivamente il
    legislatore avesse voluto escludere dal perimetro della repressione penale le
    attestazioni conseguenti a processi di carattere valutativo. Dopo sentenze di segno
    opposto, la questione è approdata alle sezioni Unite della Cassazione che ha
    ritenuto la sussistenza del reato di false comunicazioni sociali, con riguardo alla
    esposizione o alla omissione di fatti oggetto di valutazione, se, in presenza di criteri
    di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati,
    l’agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata
    informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i
    destinatari delle comunicazioni (Cassazione, Sezioni Unite Penali, sentenza 27
    maggio 2016, n. 22474).

Ci sono casi in cui sono previste pene ridotte per il reato di falso in bilancio di cui
all’art. 2621: se i fatti sono di lieve entità la pena va da un minimo di 6 mesi a un
massimo di 3 anni (nuovo art. 2621-bis); la lieve entità viene valutata dal giudice, in
base alla natura e alle dimensioni della società e alle modalità o gli effetti della
condotta dolosa. La stessa pena ridotta, (da 6 mesi a 3 anni) si applica nel caso in cui
il falso in bilancio riguardi le società che non possono fallire (quelle che non
superano i limiti indicati dal secondo comma dell’articolo 1 della legge fallimentare).
In questo caso, il reato è perseguibile a querela di parte (della società, dei soci, dei
creditori o degli altri destinatari della comunicazione sociale) e non d’ufficio.
Il nuovo art. 2621-ter, prevede, poi, una ipotesi di non punibilità per particolare
tenuità del falso in bilancio.
Con la riforma, vengono poi inasprite le sanzioni pecuniarie previste dall’art. 25-ter
del D.Lgs 231/2001 a carico delle società per il falso in bilancio di cui all’art. 2621 c.c.
(da 200 a 400 quote, invece delle 100-150 attuali); per il falso in bilancio di lieve
entità le sanzioni pecuniarie sono, invece, stabilite tra 100 e 200 quote.

  • FALSO IN BILANCIO NELLE SOCIETÀ QUOTATE
    Per quanto riguarda la disciplina del falso in bilancio nelle società quotate, la riforma
    modifica l’articolo 2622 del codice civile che, nella formulazione previgente,
    prevedeva una detenzione da sei mesi a 3 anni. La struttura dell’illecito è pressoché
    identica a quella dell’art. 2621 da cui si differenzia soprattutto nella diversa cornice
    edittale di pena. Le principali novità consistono nel sensibile aumento della pena (
    (reclusione da 3 a 8 anni), nel fatto che il falso in bilancio diventa reato di pericolo
    anziché (come prima) di danno, la procedibilità è d’ufficio (anziché a querela) e,
    come nel falso in bilancio delle società non quotate, scompaiono le soglie di non
    punibilità; anche qui è poi modificato il riferimento al dolo ed è eliminato quello
    all’omissione di “informazioni”, sostituito da quello all’omissione di “fatti materiali
    rilevanti” (la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica,
    patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene). Alle
    società quotate sono equiparate: le società emittenti strumenti finanziari per i quali
    è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato
    regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea, le emittenti strumenti
    finanziari ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione
    italiano, le società che controllano società emittenti strumenti finanziari ammessi
    alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione

europea, e le società che fanno appello al pubblico risparmio o che comunque lo
gestiscono.
Anche in tal caso, sono incrementate le sanzioni pecuniarie previste dal citato d.lgs
231 del 2001, che – per il falso i bilancio nelle società quotate – passano da 400 a
600 quote (dalle precedenti 150-330).

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