«Non ho mai pensato di stravolgere questo brand. Ho un obiettivo e un desiderio: fare ciò che è giusto per Loewe. Per me questo significa creare collezioni e pensare a eventi che lo facciano durare nel tempo. Non per il mio tempo». Jonathan Anderson ha “solo” 33 anni, ma parla da uomo saggio e da stilista consapevole del suo talento e della fortuna di essere direttore creativo di un marchio con oltre 170 anni di storia. Il nome si deve a un artigiano di origine tedesche, Enrique Loewe Roessberg, che nel 1876 si unì al laboratorio di pelletteria aperto a Madrid 30 anni prima da un artigiano spagnolo.
Anderson, nato in Irlanda del nord nel 1984, fu chiamato in Loewe (gruppo Lvmh) nel 2013, per rinfrescarne l’immagine e rilanciarlo come brand del lusso. Forse la parola non gli piacerebbe, ma quella di Anderson è stata una vera e propria rivoluzione. Neppure troppo silenziosa. Nel senso che il suo tocco si vede ovunque, dai negozi alla comunicazione, dal merchandising alle iniziative in favore dell’arte. E dalla collezioni di abbigliamento e accessori, naturalmente: le sfilate Loewe sono tra le più attese (e lodate) fashion week di Parigi. Ora lo sguardo di Anderson si è rivolto anche alla settimana del design di Milano, che frequenta da sempre e che lo ha spinto a creare un progetto speciale presentato nella boutique Loewe di via Monte Napoleone.
«Negli anni 80 e 90 ci si vestiva per mostrare il proprio status, si usciva di casa per essere notati e, forse, ammirati, per gli abiti o gli accessori che si indossavano – racconta Anderson –. In parte è ancora così, ma l’attenzione si è spostata molto su ambienti e circoli più intimi. Le persone trascorrono più tempo nelle loro case ed è lì che desiderano mostrare qualcosa di sé. Credo ci sia una relazione assai stretta tra il modo in cui ci si veste e quello in cui si arreda la casa. Parlo naturalmente di persone che si fidano del proprio gusto, non di quelle che si mettono ciecamente nelle mani di stylist o interior designer e architetti».
È millennial per nascita ma quasi rinascimentale per altri versi, Jonathan Anderson: tra le sue infinite passioni e ossessioni, come le definisce lui stesso, ci sono i mestieri d’arte. Adora lavorare con artigiani spagnoli e di ogni altro Paese e far nascere contaminazioni, «impollinazioni incrociate, osmosi e ibridazioni». Sono nati così anche gli arazzi, le coperte e le borse presentate settimana scorsa a Milano, con un evento nella boutique di via Monte Napoleone e nel cortile adiacente, uno dei molti luoghi semi segreti che si aprono alla città durante la settimana del design.
«Abbiamo lavorato a questo progetto per un anno, girando tra Europa, Asia, Africa e Sud America. Sono rimasto affascinato dalle tecniche artigianali “classiche” nel tessile, come quella giapponese del boro, ma anche dal patchwork africano del Togo e del Senegal, dai ricami con nastri indiani e intrecciati in canapa, jersey o pelle – spiega il direttore creativo di Loewe –. Nella collezione primavera-estate 2018 abbiamo presentato, per anticipare il progetto di Milano, una tote bag in pelle con inserti intessuti. È sold out, benché abbia un aspetto molto insolito, il che mi conferma che l’artigianalità è un linguaggio universale. Parla al cuore delle persone perché viene da saperi antichi, tramandati per secoli, e trasmette autenticità e qualità».
I profitti del progetto saranno devoluti a enti di beneficenza che promuovono l’educazione delle donne nelle comunità in via di sviluppo di tutto il mondo. «Sono un millennial, è vero, e sento ripetere che la mia generazione è più attenta alla sostenibilità. Credo sia piuttosto un’esigenza che riguarda persone di ogni età, oggi. Siamo consapevoli della vulnerabilità del pianeta e delle enormi differenze e ingiustizie che ancora esistono. Tutti, nel nostro piccolo, possiamo dare un contributo per preservare le tradizioni e per migliorare le condizioni di vita di chi ha avuto pochi vantaggi dalla globalizzazione», conclude Anderson.