Itinerario inconsueto in Israele: il lusso di alloggiare tra artisti e chef leggendari
lily Elstein ha la bellezza eterea di un’adolescente. Sorride con gli occhi e si accende di entusiasmo mentre racconta di quando è venuta in Italia con Sigalit Landau, l’artista di cui è da tempo mecenate, per trovare il marmo giusto. Sarebbe servito a creare la grande scultura che oggi troneggia nel cavedio dell’Elma Arts Complex Hotel a Zichron Ya’akov, lungo la strada che porta da Tel Aviv ad Akko, l’antica città dei crociati. Situato tra le mura di un ex-sanatorio degli anni Sessanta ristrutturato con filologica precisione, Elma Arts è una tappa inderogabile per una visita in Israele al di fuori dei consueti canoni turistici. Un itinerario che unisce bello e buono, storia e innovazione seguendo il filo che percorre la più vibrante vita artistica del paese. Iniziamo da Elma e da Lily perché è stato l’incontro più straordinario. La signora Elstein, perfetto ossimoro di fragilità e tenacia, è l’erede di una fortuna farmaceutica (il marito era proprietario di una delle principali aziende del settore), appassionata collezionista di arte contemporanea e strenua custode di uno degli esempi più fulgidi dell’architettura strutturalista israeliana. Il Mitvachim Sanatoriumche ha salvato dalla lottizzazione in villette monofamigliari aveva infatti fatto guadagnare a Jacob Rechter, che lo disegnò nel 1968, l’Israel Award for Architecture. Un serpentone di cemento armato che si muove sinuoso sulla collina e guarda il mare.
Oggi il complesso ospita una novantina di camere, tutte arredate come gli spazi comuni con pezzi di design italiano, un auditorium da 450 posti e un allestimento museale in cui sono allineati più di 500 pezzi della collezione della proprietaria. Lily ha 89 anni. Da quando l’albergo è stato inaugurato si è trasferita a vivere qui, lasciando Tel Aviv e il suo impegno nel board del Museo d’arte cittadino. Ha fatto di questo luogo un’agorà aperta a tutti: chiunque può entrare nell’auditorium – che è tra le dieci sale da concerto con la miglior acustica al mondo, possiede due pianoforti Steinway grand coda e il più grande organo d’Israele – o visitare le mostre d’arte e la collezione Elstein. In queste settimane è al lavoro su una delle terrazze, per un’installazione site specific, Ame72, un graffiti artist del gruppo Bansky.
Dal villaggio dei pittori ad Akko
Non troppo distante da qui, adagiato sulle pendici del Carmelo c’è Ein Hod, il villaggio degli artisti fondato nel 1953 dal dadaista Marcel Janco. Oggi vivono e lavorano qui 150 artisti: pittori, scultori, ceramisti, designer, ma anche gioiellieri e danzatori. Il villaggio è idillico e provvede anche ospitalità discreta per i turisti, che possono visitare gli studi degli artisti oltre che il Janco Dada Museum. Nechama Levendel realizza quadri molto insoliti con sottilissime lamine di cartapesta prodotte utilizzando vecchi libri che le vengono donati. Le due anziane gemelle Ben-Zion hanno vissuto tutta la vita a Ein Hod, il padre pittore Magal era uno dei fondatori: loro realizzano ceramiche dai colori vivaci con tecniche di grande complessità.
Scendendo verso la litoranea e lasciando alle spalle il villaggio fatto costruire dal barone Rothschild per la produzione dei vini del Carmelo si raggiunge Akko, sito patrimonio dell’Unesco. Dove perdersi tra le stradine che profumano di hummus e babaganoush – le due salse immancabili sulla tavola israeliana – visitare la città crociata sotterranea e percorrere il tunnel che si spalanca sul mare. Qui l’indirizzo cult è l’Efendi, un boutique hotel di raffinata antica bellezza aperto nel 2012 dopo nove anni di ristrutturazioni. Non ingannino la lunghissima barba bianca e il volto pacioso del patron. Uri Buri è un padrone di casa quasi burbero, con idee molto chiare sulla città («un esempio di convivenza e coesistenza, a dispetto di tutto») e sulla cucina («ho aperto il ristorante nell’89, sono un autodidatta e oggi cucino in giro per il mondo: tutto quel che c’è nel piatto deve essere edibile e non contenere più di 8 ingredienti»). Da qualche tempo ha ripescato antiche ricette bizantine, alcune delle quali ritrovate dai ricercatori dell’università di Haifa nel deserto del Negev.
La movida a Tel Aviv
Per chi ama i locali, la movida e la spiaggia la destinazione d’obbligo è Tel Aviv. Una miriade di bar e caffetterie a Sarona, il quartiere dei templari tedeschi, il mercato delle pulci a Jaffa, un tour tra i negozietti e le gallerie di Neve Tzedek, una sorta di Brera degli albori. Il farmer market al porto dove pranzare saltellando da uno stand all’altro e in fine serata un drink al Bell Boy di Ariel Leizgold,nome di punta della mixologia a livello mondiale, che presto aprirà un locale anche a New York.
Altra atmosfera a Gerusalemme
Con le sue pietre bianche, i vicoli della città vecchia, le torme di pellegrini e le signore dello shopping a Mammilla. Anche qui la scena artistica è molto vivace. Sotto le mura della città vecchia, snodati lungo una morbida scalinata, si affacciano 25 studi. Siamo alla Artist Colony, dove si concentra la massima espressione di Giudaica, la moderna arte sacra. Teche per la Torah, Menorah di ogni misura e altri oggetti sacri, in materiali insoliti e innovativi. Avi Luvaton fa arrivare il vetro da Murano ed i suoi pezzi hanno quotazioni stellari. Il Museo di Israele, conosciuto in tutto il mondo perché custode dei Rotoli del Mar Morto, gli antichi manoscritti biblici, ha uno splendido Giardino delle sculture che ospita una sessantina di opere, tra cui gli imponenti alberi del cinese Ai Weiwei. E proprio un’italiana, Gioia Perugia, cura la sezione arte e vita ebraica nella quale sono state ricostruite quattro antiche sinagoghe, una delle quali smantellata a Vittorio Veneto.
Il mezzo milione di pezzi di proprietà del museo raccontano un viaggio dalla preistoria all’attualità più contemporanea, con le video installazioni di Julian Rosefeldt nella mostra Manifesto che riprendono una multiforme Cate Blanchett in 13 diverse versioni recitare i manifesti di altrettanti movimenti artistici, dal Futurismo all’Arte concettuale. Tredici piccoli film ad alta intensità interpretativa e perfezione stilistica. Altrettanto intensa la mostra sull’evoluzione dell’abbigliamento femminile nelle aree di ortodossia più intransigente: sempre più rigoroso, fino ad apparire quasi indistinguibile dal mantello nero indossato dalle donne musulmane.
Hotel di charme e mercati
Dove dormire a Gerusalemme? Se i più romantici non rinunceranno a un soggiorno all’American Colony, hotel di charme ricavato nell’antica sede di una colonia “utopistica” cristiana, sono molti ormai gli indirizzi di lusso contemporaneo. Uno tra tutti il Cramimappena ai margini della città, nel cuore di un’area vinicola a cui deve il nome (cramim in ebraico significa vigneto), famoso per i trattamenti agli estratti d’uva. Ma non si può lasciare Gerusalemme senza fare tappa al mercato Machneyuda *(per comprare, tra le altre cose, la tahine artigianale, salsa a base di sesamo) e mangiare in uno dei tanti piccoli locali che offrono tutte le varietà di cucina della diaspora.