“Io, cacciatore di falsi, e la mia battaglia per difendere l’arte da truffe e mercanti collusi”
La storia di Carlo Pepi, per anni impegnato nel segnalare e denunciare le opere contraffatte attribuite a Modigliani. “Messo al bando dal circuito ufficiale dell’arte. E io al bando ci voglio restare”
’unico angolo dove è possibile sedersi, su tre piani di casa, è un divano all’ingresso. Ogni altra sedia, poltrona, tavolo o ripiano è occupata da libri, dipinti, scatole di appunti, quadri accatastati persino sui letti. «Prenda», e porge la copia di una lettera del 1994: «Una delle poche volte in cui è stato riconosciuto il mio lavoro». “A Carlo Pepi”, si legge, “per il suo ammirevole impegno nell’identificare falsi e truffe, e la sua abilità a smascherarli”.
Il cacciatore di falsari salutato con affetto da “ArtWatch International” nella lettera è un signore di quasi 80 anni che vive a Crespina, sulle colline di Pisa; che ama correre in macchina, raccontare aneddoti e discutere d’arte.
Ma soprattutto ingaggiare battaglie contro «l’indegnità e la protervia», dice, di chi spaccia per autentiche opere che non lo sono. Suo terreno di scontro costante sono soprattutto alcuni autori. Primo fra tutti: Modigliani. Da Pepi è partita, fra le altre, la prima denuncia sui dipinti posticci portati a Genova nella mostra dedicata appunto al pittore di Jeanne dal collo eterno.
Le sue osservazioni sono state l’innesco dell’indagine che sta ora costringendo Palazzo Ducale a rimborsare migliaia di visitatori. E che vede accusati sia il curatore, Rudy Chiappini, che il collezionista-mercante che aveva prestato le opere, Joseph Guttmann, che l’organizzatore, il presidente di Skira mostre Massimo Vitta Zelman. Ventuno quadri esposti sono stati sequestrati.
Il traffico di opere vale 9 miliardi di euro nel mondo, e solo nel nostro Paese si registrano 20 mila furti l’anno, 55 al giorno. Tra queste la Natività di Caravaggio e i Van Gogh nella cantina del boss
Alcuni sarebbero infatti «grossolanamente falsi» secondo l’esperta nominata dalla procura, la professoressa Isabella Quattrocchi. Per la quale anche l’allestimento era stato realizzato appositamente: al buio, con luci fortissime a contrasto, per nascondere i tratti artefatti con cui erano stati eseguite le opere; altri due studi tecnici francesi hanno rilevato «pigmenti databili a dopo la seconda guerra mondiale», ovvero colori che non esistevano quando era in vita l’autore. Ora, in attesa che anche la difesa possa portare i propri esperti nel caveau dei carabinieri per le contro-analisi, Pepi si è ritrovato sui giornali di tutto il mondo.
Camminando fra le stanze ricolme della sua collezione nel borgo appartato di Crespina, «sono felice», dice: «ovviamente». Ma non basta a farlo riposare. «Due anni fa vidi una mostra che aveva un falso pure sulla locandina. A Arezzo, Pescara, Taiwan, mi ricordo a Praga, mamma mia, un catalogo pieno, pieno di falsi», continua: «Sono stato spesso in tribunale, chiamato dalle procure. Ma i falsari, e soprattutto i mercanti che guadagnano grazie a loro, mi hanno fatto la guerra. Sono stato isolato, messo all’indice. Mi ci son voluti quasi 30 anni di denunce per portare all’arresto di Christian Parisot. E ancora vedo in giro opere sue». Christian Parisot: il presidente degli archivi Modigliani, nominato tale dalla figlia, indagato in Italia e in Francia per aver inquinato l’eredità del grande artista. Modigliani, morto nel 1920, poverissimo, a soli 35 anni, conobbe infatti fortuna e ricchezza – fino al record del “Nudo” venduto all’asta a 170 milioni di euro -, solo dopo la morte. Così come postumo il suo nome è stato messo su migliaia di contraffazioni.
«Parisot è un personaggio. Ci ho messo del tempo ad accorgermi di chi fosse veramente». Pepi ricorda le occasioni che li portarono a incontrarsi nel 1981, insieme a Jeanne, l’unica figlia del pittore. Lui entra negli archivi, si adopera per riaprire la casa natale a Livorno in occasione del centenario della nascita, nel 1984. Ma proprio in quell’anno s’incrina tutto: in un fosso livornese, vengono ritrovate delle teste scolpite. Tutti i grandi critici dell’epoca, professori interni e esterni alle istituzioni, le attribuiscono immediatamente a Modigliani. Pepi grida: «sono false!». Ma è il solo. Verrà fuori che anche in questo caso aveva ragione – una delle sculture era lo scherzo di tre ragazzi, perfettamente riuscito. A luglio dello stesso anno Jeanne muore, in circostanze mai chiarite completamente. E le tensioni aumentano all’interno degli archivi. Fino alla scelta di Pepi, nel 1990, di uscire dal gruppo. «Me ne andai con un atto notarile. Non volevo aver più nulla a che fare con loro. Avevo capito su che traffici basavano la loro attività. E non ci volevo rientrare». Traffici, di falsi.
Da allora ha combattuto ogni riapparizione di quelle opere, e non solo, non sempre con lo stesso ascolto avuto a Genova. «Ma non mi arrendo», dice. Per lui, è una missione, e non riguarda soltanto Modigliani. La sua altra grande passione sono i macchiaioli, Lega, Fattori, «snobbati da una critica cieca, a me hanno fatto sempre impazzire».
Mai integrato nel sistema ufficiale dell’arte, osteggiato da mercanti collusi e falsari, Pepi è sempre stato considerato «un improvvisato», «un amatore», un outsider. «Mi hanno messo al bando e io al bando ci voglio restare», dice. Gli esperti ufficiali, gli storici forti di titoli, pubblicazioni e cattedre, o soltanto frequenti presenze in tv, gli rinfacciano il fatto di non essere un professionista. «L’ho scelto. Anche se ho studiato arte tutta la vita, non ho voluto farla diventare un lavoro», ribatte lui.
Convinto dal padre a laurearsi in economia, Pepi è stato titolare di uno studio commerciale e di geometra fino a pochi anni fa. «Gli affari sono andati bene. I soldi, li spendevo tutti in arte, solo per passione, non investimento. Mia madre era preoccupata, perché sapeva che investivo spesso anche a debito», sorride. E se anche oggi tiene il riscaldamento spento, «perché ho troppe tasse da pagare», non ha rimpianti: «Ho collezionato artisti che amo. Autori secondo me eccezionali che non voleva nessuno, per cui potevo permettermeli».
Ma la sua risposta alle critiche di quanti rintuzzano le sue denunce nell’angolo della polemica, è soprattutto l’occhio. «È un problema di sensibilità. Di saper vedere le cose». Certo, aggiunge: «Studi, leggi, ma poi devi essere capace di cogliere la materia, le vibrazioni che ha la materia quando è viva, oltre la bellezza apparente. E riconoscere così dove sta il genio dell’artista e dove no. Ogni opera è unica, ha una sacralità, che è quello che colgo». «Vede qui», dice indicando una scultura di Modigliani su un catalogo: «Quest’opera è morta. Lo si capisce anche dalla foto. Non è viva, come sono invece quelle autentiche»