[Intervista] Dal diritto all’oblio alla rivoluzione del copyright in Rete: le nuove frontiere del diritto dell’informazione
Abbiamo approfondito i temi più scottanti con il professor Ruben Razzante, uno dei luminari della materia. Quali strumenti tecnologici e giuridici per combattere le falsità su Internet e come difendere il giornalismo di qualità?
Il tema del diritto dell’informazione e della comunicazione è quanto mai attuale soprattutto in riferimento alla tutela in Rete. Le problematiche sono molteplici, e così le regole che ormai riguardano l’argomento. Come spiega Ruben Razzante, uno dei più quotati esperti italiani della materia, autore di un Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione (ed.Cedam-Wolters Kluwer), giunto alla sua ottava edizione, “tante sono le novità normative, giurisprudenziali, deontologiche e dottrinali in materia di diritto all’informazione, pluralismo, giornalismo, editoria on-line, privacy e diritto di cronaca, diffamazione, diritto d’autore, par condicio, etica e minori, commistioni tra pubblicità e informazione, authorities, Rai e tv commerciale, digitale terrestre e servizi di media audiovisivi, Agenda digitale, blockchain, internet delle cose e intelligenza artificiale”. Abbiamo voluto approfondire con il professor Razzante, docente di diritto dell’informazione, diritto europeo dell’informazione e diritto della comunicazione per le imprese e i media presso l’Università Cattolica di Milano e la Lumsa di Roma, giornalista professionista e consulente di importanti multinazionali e associazioni di categoria, alcune fondamentali tematiche della complessa materia.
Professore, altre volte abbiamo avuto occasione di discutere di queste problematiche (Vedi l’intervista video di Tiscali), ma il 19 maggio 2019 è scaduto il periodo di prima applicazione del Regolamento UE 2016/79 (GDPR), in cui il legislatore aveva previsto un periodo di tolleranza circa l’applicabilità delle sanzioni previste dalla normativa, e volevamo chiederle alcuni chiarimenti. Cosa significa questa scadenza per noi?
“Il nuovo Regolamento europeo sulla privacy, conosciuto anche come GDPR(Regolamento generale sulla protezione dei dati), ha innovato profondamente la materia e rappresenta un’ottima sintesi tra le esigenze della tutela della privacy e le esigenze di circolazione dei dati, quindi di condivisione delle informazioni. La gestazione è stata lunga perché si è dato tempo ai regolamenti europei di adeguarsi. Il documento che consente l’adeguamento è il decreto legislativo 101 del 2018 che detta, appunto, i principi integrativi in materia di privacy introdotti dal GDPR. Sostanzialmente quel decreto rappresenta la porta di ingresso dei contenuti del regolamento nel nostro ordinamento giuridico. Questo comporta anche una scalarità di sanzioni in taluni casi potenziate. C’è una maggiore responsabilizzazione dei gestori dei dati, ed anche i colossi della Rete hanno maggiori vincoli e dunque non possono trattare con disinvoltura, come spesso hanno fatto in passato, i dati degli utenti. Ci sono poi una serie di innovazioni che riguardano anche le professionalità di questa tutela della privacy, in particolare l’introduzione del DPO, Data Protection Officer (o anche Responsabile per la Protezione dei Dati, RPD. ndr) che in alcuni casi è obbligatorio e in altri facoltativo. Ma molte pubbliche amministrazioni e aziende lo stanno adottando perché la ritengono una figura chiave per il rispetto della privacy”.
Quali cambiamenti introduce la nuova direttiva sul copyright rispetto al diritto d’autore e alla disciplina della responsabilità delle piattaforme web?
“La direttiva sul copyright si può tranquillamente definire come una rivoluzione riguardo al copyright in Rete. E’ stata vissuta come tale dai sostenitori della difesa del diritto d’autore nel Web, e con un po’ di sofferenza e disagio da chi ritiene che in Rete tutto debba essere libero e circolare senza vincoli. Il punto di sintesi individuato è certamente migliore di quello della bozza respinta giustamente un anno fa, e c’è stata l’introduzione dell’obbligo per i colossi della rete di stipulare accordi con i produttori dei contenuti, al fine di poter condividere sui motori di ricerca gli articoli che vengono scritti per gli editori tradizionali. Quando tra due anni la direttiva entrerà in vigore (prima bisognerà recepirla in Italia e in tutti gli stati Ue) realtà come Google, prima di poter indicizzare gli articoli che escono sui giornali o utilizzare i video youtube di telegiornali o altro, dovrà fare accordi con gli editori e i produttori di contenuti, e questi dovranno reinvestire le somme che riceveranno dai colossi della Rete proprio nel lavoro giornalistico. Con un duplice effetto positivo: la valorizzazione del copyright sulle opere creative anche di natura giornalistica e la responsabilizzazione e valorizzazione del lavoro giornalistico che potrà trarre giovamento in termini economici da questi maggiori introiti per gli editori”.
Parliamo ora di fake news: quali strumenti tecnologici e giuridici ci sono per combatterle?
“Gli strumenti giuridici sono quelli tradizionali, nel senso che se uno pubblica una notizia falsa ne può rispondere per diffamazione o altro anche in Rete. Ci sono ormai moltissime sentenze che puniscono la lesione della reputazione sul Web. Il principio di verità deve essere rispettato anche nel giornalismo on line. Nello specifico, sulle fake news non c’è tuttavia una legge. La Commissione europea ha varato un anno fa un codice di autoregolamentazione e onore, uno strumento deontologico. In pratica tutti i colossi della Rete, Facebook, Google e così via, l’hanno sottoscritto impegnandosi a collaborare per la rimozione dei contenuti falsi (fake). La Ue in sostanza ha detto: per ora facciamo questo codice di autoregolamentazione, se ci dovessimo rendere conto che le elezioni europee (quelle di domenica) saranno influenzate in maniera preponderante dalla diffusione di fake news, dalla manipolazione delle opinioni e del consenso elettorale, allora nella prossima legislatura si procederà, magari, a una valutazione di tipo legislativo. La Ue potrà anche valutare di fare una direttiva o un regolamento per disciplinare in modo molto più rigido il fenomeno. Per quanto riguarda i rimedi tecnologici, gli algoritmi sono sempre più sofisticati e riescono a smascherare fake news e notizie che inneggiano all’odio. L’esempio della Ong Avaaz, che ha segnalato a Facebookalcune pagine fake che inneggiavano in qualche caso ai partiti attualmente al governo in Italia e contenevano palesi fake news, è la dimostrazione di come a volte si possa cooperare, su segnalazione degli utenti, da parte dei social per rimuovere queste falsità che inquinano i contenuti della rete”.
Ultimamente è tornata alla ribalta anche la questione del diritto all’oblio: come si stanno orientando i giudici per cercare di risolvere questo problema?
La prima norma sul diritto all’oblio è il GDPR che riconosce agli utenti il diritto alla rimozione dei contenuti non più attuali che li riguardano. Dunque un adeguamento della vita virtuale a quella reale. Se circolano informazioni di me non più attuali, superate o inutili ai soggetti che mi hanno chiesto di poterle trattare, è chiaro che posso chiederne la rimozione. Ma tutto ciò non vale per la materia giornalistica, perché quando ci sono articoli su persone che chiedono il diritto all’oblio non è detto che questo possa essere concesso. Ci sono molte sentenze della Cassazione, ma anche di tribunali di primo grado o d’appello, che hanno chiarito come debba prevalere sempre l’interesse sociale alla notizia anche se datata. Quindi la richiesta di rimozione di notizie dai siti on line va quasi sempre rifiutata. Per i motori di ricerca a volte è possibile accoglierla, magari consentendo agli utenti una diversa indicizzazione delle notizie. Ad esempio, se c’è un articolo di tre anni fa su un giornale che parla di me, articolo superato e che, oltretutto, mi crea problemi, non posso chiedere all’archivio on line di rimuovere quell’articolo solo perché mi crea problemi. Se quell’articolo contiene notizie di interesse pubblico, l’archivio del giornale on line deve conservarlo. Tuttavia, ai motori di ricerca generalisti come Google è lecito chiedere di indicizzarlo in modo diverso perché nel frattempo su di me sono usciti altri articoli che rinnovano la mia immagine e raccontano quindi cose più recenti. Cose che ho fatto e sono ugualmente di interesse pubblico. Possiamo cioè ragionare nei termini di una corretta contestualizzazione, non di una cancellazione, di un colpo di spugna o di una rimozione totale, perché altrimenti si creerebbe una ferita alla storia, un vulnus alla ricostruzione storica”.
Come si fa ad assicurare un giornalismo di qualità, basta la deontologia professionale per farlo?
“La deontologia è la base affinché i giornalisti si distinguano dai non giornalisti. Solo rispettando la deontologia si distinguono dagli altri. Vagliano le fonti, fanno controlli e verifiche prima di scrivere e soprattutto mettono al centro il rispetto della dignità delle persone protagoniste dei fatti. Questa è la discriminante, e questo è già giornalismo di qualità. Nel mare magnum della Rete però circolano tanti contenuti scritti da non giornalisti che si confondono con i contenuti prodotti da giornalisti. Bisognerebbe trovare allora il modo per rendere facilmente riconoscibile il lavoro dei professionisti, per distinguere un contenuto vagliato deontologicamente da uno scritto da un dilettante o da un avventuriero. Dare agli utenti la possibilità di riconoscere questi contenuti attraverso accorgimenti tecnicio elementi di visualizzazione del lavoro giornalistico. In ogni caso la deontologiaè certamente lo strumento principale per fare giornalismo di qualità. Ovviamente gli editori e i colossi della Rete devono dare una mano, impegnandosi anche sul piano della formazione delle nuove leve, affinché anche queste abbiano la dovuta sensibilità verso la correttezza deontologica e il rispetto delle persone”.
Sono sempre più frequenti i casi di diffamazione attraverso i social network. A suo avviso è necessaria una disciplina più severa con pene più elevate?
“Serve prima di tutto una maggiore autotutela da parte degli utenti, per evitare post o contenuti diffamatori. C’è molta gente che scrive con disinvoltura sui profili social, credendo di non fare nulla di male, ma in realtà ponendo le premesse per una querela per diffamazione. In Rete ci vuole discernimento. Ormai i giudici, dal punto di vista della diffamazione on line, applicano anche a Facebook, a WhatsAppe agli altri social l’articolo 595, terzo comma, del c.p. che punisce la diffamazione commessa con altro mezzo di pubblicità. Dunque i magistrati inquadrano i social come altro mezzo diverso dalla stampa, ma ugualmente considerato strumento di diffamazione aggravata, e applicano pene esemplari. Ci sono state multe salate, anche di 15 o 20mila euro solo per un post diffamatorio, anche se questo, a volte, non conteneva nemmeno il nome del bersaglio. Vuol dire che le tutele in Rete sono crescenti, e non è vero che internet è una giungla. Non è vero che la diffamazione a mezzo social non è mai rilevata o sanzionata”.
Nel suo manuale si parla anche di intelligenza artificiale, internet delle cose e blockchain: che impatto sono destinate ad avere sulle nostre esistenze tali nuove categorie?
“Dal punto di vista della blockchain (catena di blocchi) io vedo molti aspetti positivi quanto alla tutela della proprietà intellettuale. Tale strumento consentirà di proteggerla meglio. Sul fronte dell’intelligenza artificiale e dell’Internet delle cose(neologismo riferito all’estensione di Internet al mondo degli oggetti e dei luoghi concreti), sospendo il giudizio e credo che gli scenari siano inimmaginabili. Indubbiamente questa evoluzione delle tecnologie impatterà in modo decisivo sia sul mercato del lavoro, come scrivo nel volume, sia sull’organizzazione delle nostre vite. Ciò inciderà poi anche sul giornalismo e sulle attività di comunicazione, perché comporterà l’utilizzo di strumenti sempre più sofisticati che consentiranno di raggiungere un pubblico ancora maggiore, con tecniche e modalità diverse. Tutto questo avrà dunque un impatto complessivo rivoluzionario sul diritto dell’informazione. Ci vorranno però ancora molti anni. Anche la stessa attività delle pubbliche amministrazioni sarà influenzata da queste frontiere dell’innovazione tecnologica e il rapporto cittadino-pubbliche amministrazioni ne risulterà profondamente condizionato”.