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Le esigenze di pubblicità legale nei registri delle imprese prevalgono sul diritto all’oblio. Non ha nessun dubbio l’Avvocato generale della Corte di giustizia Ue, Bot, nelle conclusioni depositate ieri (C-398/15), sia in ragione delle esigenze di certezza del diritto sia di tutela dei terzi, inclusi i creditori. A rivolgersi alla Corte Ue, la Cassazione italiana.
La vicenda, che ha poi condotto al rinvio pregiudiziale, ha preso il via dalla richiesta di un amministratore di una società di costruzioni che, in passato (1992), aveva gestito un’azienda dichiarata fallita, cancellata dal registro delle imprese. Secondo il ricorrente, la sua nuova attività non decollava anche perché nel registro delle imprese della Camera di commercio di Lecce era riportata la sua precedente attività come amministratore di una società liquidata. L’uomo aveva chiesto al Tribunale di Lecce di imporre alla CdC la cancellazione dei dati e i giudici di primo grado gli avevano dato ragione invocando il diritto all’oblio. La Cassazione, prima di pronunciarsi, ha formulato un rinvio pregiudiziale a Lussemburgo per l’interpretazione della direttiva 68/151 sulla pubblicità degli atti delle società (modificata in diverse occasioni) e della direttiva 95/46 sulla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione dei dati.
Nodo della questione è se il diritto all’oblio prevale sugli obblighi di trasparenza fissati dalla direttiva in materia societaria. Un nodo che l’Avvocato generale, le cui conclusioni non sono vincolanti per i giudici Ue (ma spesso seguite), scioglie a favore della trasparenza. La pubblicità legale sulle informazioni iscritte nel registro delle imprese – scrive Bot – è «un obiettivo di interesse generale riconosciuto dall’Unione», che serve, per di più, a tutelare gli interessi dei terzi, la lealtà delle transazioni commerciali e, quindi, il buon funzionamento del mercato.
È vero che la pubblicità richiesta non ha limiti di durata ed è destinata «a una cerchia indeterminata di persone», ma se si ponessero limiti soggettivi di accesso o temporali, sarebbe compromessa la funzione del registro delle imprese, che sottende un interesse pubblico. Assicurare questa funzione, non è una violazione sproporzionata del diritto alla protezione dei dati tanto più perché si tratta di informazioni minime che servono a individuare «le persone fisiche che si celano dietro la maschera della personalità giuridica indossata dalle società».
Chiedere, poi, di cancellare i dati una volta che la società cessa la sua attività significa non garantire gli obiettivi fissati anche perché la scomparsa e la cancellazione di una società non escludono che continuino a sussistere rapporti giuridici avviati prima. I terzi, poi, hanno diritto a «farsi in qualsiasi momento un’idea attendibile di una società», anche se questa non è più attiva. In ultimo, la presenza dei dati serve per le attività giudiziarie: imporre limiti temporali predeterminati non è possibile perché gli Stati membri hanno regole sulla prescrizione diverse. Respinta anche la tesi di anonimizzare i dati inseriti perché ciò impedirebbe di collegare una società dichiarata fallita ai suoi dirigenti, con conseguenze negative per i terzi.