il nuovi megastore puntano su hi-tech, location strategiche e servizi su misura
Maestoso». È questa la parola che Elsa Urquijo, architetto che ha curato la ristrutturazione del negozio Zaradi Corso Vittorio Emanuele a Milano, pronuncia più spesso durante il giro inaugurale. E, in effetti, lo è: maestoso, a partire dall’ingresso, appartenuto allo storico cinema Astra, che mantiene intatto il suo fascino retrò, con le scalinate che incorniciano sinuosamente e il lampadario anni Quaranta.
Di fatto, si tratta di un megastore: lo dicono i metri quadrati, 3.500, articolati su quattro livelli. Lo spazio, che Zara scelse anni fa per fare il suo debutto in Italia, ha riaperto due giorni fa in una versione rinnovata che integra vendite online e offline. Grazie ai tag con tecnologia Rfid applicati a ogni capo esposto, può fungere da magazzino per servire in fretta (36 ore di media contro i 5-7 giorni di prima) i clienti che hanno acquistato online, alleggerendo il magazzino. E, viceversa, funge da punto di ritiro per chi, dopo aver comprato sul sito, vuole farsi consegnare la merce in negozio. Il pick up è automatico grazie a un sistema sperimentato, finora, solo in altri due punti vendita nel mondo.
Sebbene il valore delle vendite online sia in crescita ( per l’intero gruppo Inditex, cui fa capo Zara, vale circa 3 miliardi di euro – su 25,3 di ricavi complessivi – e nel 2017 ha messo a segno un +41%), il rinnovamento dello store di Corso Vittorio Emanuele è lo specchio dell’importanza che i negozi fisici rivestono per i marchi fast fashion. Che, soprattutto nelle grandi città, non si accontentano e cercano location storiche, dalle metrature considerevoli, con un posizionamento strategico.
n esempio tra i tanti è quello del megastore di Zara a Roma, nell’ottocentesco Palazzo Bocconi in via del Corso; un altro sarà, probabilmente nella primavera 2019, quello di Uniqlo, marchio giapponese che dopo aver tanto cercato la giusta location a Milano, l’ha trovata in Piazza Cordusio2, nell’ex Palazzo Sorgente. Anche in questo caso, le dimensioni saranno considerevoli: si parla di 2.500 mq di superficie commerciale.
Fare a meno del negozio fisico ad elevato impatto d’immagine, soprattutto nelle grandi metropoli dello shopping, è impossibile: «Noi non investiamo in pubblicità, non lo abbiamo mai fatto – spiega Jesus Echevarria, chief communication officer di Inditex – . È nei negozi che stabiliamo una relazione con il nostro cliente. Ci concentriamo molto sulle vetrine e sull’allestimento e poi puntiamo a creare il migliore ambiente possibile per il consumatore, lavorando sull’interior design». L’ultimo “censimento” disponibile fotografa Inditex a quota 7.448 negozi, contro i 7.475 al 31 dicembre 2017.
L’espansione del network retail, anno dopo anno, sta rallentando e l’azienda è impegnata in una strategia di «assorbimento delle unità di dimensioni più piccole – si legge nella semestrale 2018- ed espansione e ristrutturazione delle altre». L’idea di continuo rinnovamento è in linea sia con una strategia di gestione sempre più efficiente sia con la filosofia dei capi sempre nuovi sugli espositori. «I clienti hanno bisogno di nuovi stimoli e noi dobbiamo evolverci seguendo le trasformazioni tecnologiche – continua Echevarria – per questo rinnoviamo spesso i nostri punti vendita rendendoli più efficienti sia sul piano economico sia su quello energetico».
Il retail alla prova redditività
La razionalizzazione della rete di vendita di proprietà è una delle sfide che oggi tutti i big del fast fashion devono affrontare. «Le aziende stanno cercando di ottimizzare la rete di vendita – spiega David Pambianco, ceo di Pambianco Strategie di Impresa – stando più attenti ai profitti. Lo fanno “sotto traccia”, magari agendo sulla gestione integrata degli ordini on e offline come ha fatto Zara, ma senza cambiare totalmente atteggiamento: se rilevano una presenza debole su una piazza ad alto potenziale non hanno problemi ad aprire un negozio».
È il caso del gruppo H&M che nel primo semestre 2018 ha visto calare i proprio utile netto a 6 miliardi di corone svedesi (circa mezzo miliardo di euro), contro gli 8,35 del primo semestre 2017. Il gigante del fast fashion scandinavo, che sta ripensando la propria strategia sotto la spinta delle vendite online, nel corso del 2018 aprirà 390 negozi (nel 2016 le aperture erano state 427), chiudendone 150. Ma non rinuncia alle location iconiche – come quelle di Milano: in Piazza Duomo e in corso Buenos Aires 8 (entrambe frutto di relocation strategiche)- e alle dimensioni mega per gli store a insegna H&M. Come quello che aprirà a fine settembre a Torino: 1.800 metri quadri nella centralissima via Roma, a portata d’occhio dei passanti. L’engagement, del resto, non passa (ancora) solo dai social media. Né gli acquisti dal web.