Il 5 aprile del 1994 si toglieva la vita Kurt Cobain, lasciando un segno nella storia del rock e diventando (forse) suo malgrado icona dello stile grunge
eno di sei mesi prima, nel novembre del 1993, Kurt Cobain, all’epoca 26enne, si era esibito con i Nirvana nel programma Mtv Unplugged, che ospitava concerti acustici di singoli artisti e band. Freschi della vittoria agli Mtv Video Music Awards del premio Best Alternative Video per Heart-Shaped Box, Cobain e i Nirvana diedero vita a quello che viene spesso citato come uno dei loro migliori concerti di sempre. Il 5 aprile del 1994 Cobain si uccise nella sua casa di Seattle con un colpo di fucile e fu ritrovato solo la mattina dell’8 aprile da un elettricista. Fu l’autopsia a stabilire che la morte risaliva a tre giorni prima.
Sono passati 25 anni: forse se Cobain si fosse suicidato nell’epoca dei social media qualcuno avrebbe fatto circolare foto del cadavere o altre immagini raccapriccianti. Nel 1994 non successe, ma i fan dei Nirvana, di Cobain in particolare e della musica in generale, certamente immaginarono il corpo di quel giovane uomo di incredibile talento – ma altrettanto incredibilmente tormentato – a terra, in una pozza di sangue rappreso. E forse paragonarono quell’immagine angosciante a quella di Cobain sul palco di Mtv, con la chitarra in mano, che cantava alcune delle più belle canzoni dei Nirvana. Per certi versi irriconoscibili in versione acustica. Dal concerto venne tratto un album e un dvd, pubblicati dopo la morte di Cobain e da allora long seller e “long streamer”, potremmo dire oggi. Il suo look di quella sera (si veda la foto in alto) – jeans strappati, maglione over size, collana di perline, capelli con meches da ritoccare, camicia slabbrata e t-shirt bianche sovrapposte e coi bordi mangiucchiati, sporco “per finta” – apparteneva a quello stile grungeche rese famoso Cobain. Con lo stesso aggettivo, grunge, si definì il tipo di rock alternativo che, secondo i critici, la band faceva. A distanza di 25 anni, i dischi dei Nirvana non sono più classificabili in alcun genere, hanno un posto a sé nella storia del rock. Ma lo stile grunge, nell’abbigliamento, resiste e anzi è forse alla base di quello streetwear che oggi detta legge ovunque.
Le cause della morte
Cosa spinga una persona al suicidio è un mistero che nessuno potrà mai risolvere. Cobain era giovane, aveva una figlia di appena due anni, avuta da Courtney Love, sposata nel 1992, cantante rock a sua volta e che con Kurt condivideva la dipendenza dalle droghe, oppiacei in particolare. Lo stereotipo della rockstar tormentata e quindi drogata non può spiegare perché un uomo di 27 anni, dall’aspetto angelico e diabolico allo stesso tempo, famoso nel mondo, miliardario under 30, idolatrato dai fan ed elogiato dalla critica, decida di uccidersi. A Randy Goldberg, manager dei Nirvana, ci sono voluti 25 anni per condividere ricordi e riflessioni. Lo ha fatto con il libro Serving the Servant, appena uscito anche in Italia per Harper Collins. «Per 20 anni ho evitato di leggere libri e articoli o di vedere video dei Nirvana – ha spiegato in alcune interviste -. Negli ultimi cinque anni invece non ho fatto altro: ho parlato con teologi, pensatori, filosofi, psicoterapeuti, psichiatri. Nessuno ha saputo rispondere alla domanda: perché certe persone di suicidano?». In un brano del libro Goldberg scrive: «Rifiuto la tesi che Kurt non abbia retto al successo, la mia personale morale è: non usare eroina».
L’affinità con David Foster Wallace
Tra i tanti estimatori (in questo caso postumi) di Kurt Cobain ci fu lo scrittore David Foster Wallace, morto anche lui suicida nel 2008, che poco dopo la notizia del suicidio della rockstar scrisse: «Per dire, non avevo neanche… non avevo neanche sentito nominare i Nirvana finché non è morto lui. È roba assolutamente pazzesca. Ma incredibilmente carica di dolore. Cioè, se uno… insomma, hai presente tutto quello che stavo cercando di dire, in maniera goffa, un po’ a tentoni, sulla nostra generazione? Ecco, Cobain ha trovato… Cobain ha trovato dei modi incredibilmente potenti e disturbanti di dire la stessa cosa». L’ultima apparizione televisiva dei Nirvana fu in realtà in Italia, il 23 febbraio 1994: si esibirono su Rai 3 nel programma Tunnel, condotto da Serena Dandini, cantando Serve the Servants e Dumb. Nel documentario Chi ha ucciso Kurt Cobain? la conduttrice ricordò così l’incontro con Kurt Cobain: «Ebbi l’impressione di una persona di una sensibilità estrema, indifesa, che difficilmente riuscivi a guardare negli occhi, con uno sguardo di paura come di un cucciolo braccato dal mondo».