Fabio Miani: il mondo che vorrei
Ogni sua canzone arriva dall’aria, dall’anima come un ritmo che torna da lontano, come un pensiero, un chiodo fisso. I suoi personaggi entrano nella vita del Cantautore trevigiano Fabio Miani come fantasmi e nello stesso modo vanno via. La sua musica è un viaggio avanti e indietro nel tempo in cerca di quel qualcuno che forse gli appartiene: È come se la canzone esistesse già… stai suonando e ti arriva come un colpo di fucile. In quel momento l’hai catturata: è tua. Da lì in poi continui con una specie di formicolio sotto lo sterno. Quindi canzoni, poesie che scelgono il linguaggio della musica per raccontare avvolte una cruda realtà, pragmatica e schietta. Ma soprattutto tanta “poesie”, che tenta in un modo disperato di far sognare una realtà migliore.
Quali sono stati i momenti più significativi della tua carriera?
Probabilmente le fasi di maggiore creatività compositiva. Altrettanto importanti sono state alcune esperienze live: ho avuto la fortuna di collaborare dal vivo con alcuni grandi musicisti, e non c’è modo migliore per crescere artisticamente.
Come nasce l’esigenza di diventare cantautore?
Nel mio caso non si tratta di una decisione. Viene da sé, io non compongo sempre: va a periodi. L’esigenza che ho sempre avuto è piuttosto quella di avere costantemente tra le zampe qualcosa da suonare, preferibilmente corde, meglio se quattro, montate su un bel basso.
Un giudizio artistico sul tuo ultimo lavoro.
Il singolo “Gli occhi di Diabolik” è l’unica canzone del mio repertorio a non avere un testo scritto da me, ma da Alessandro Baggi. Suoni moderni, ma al contempo un ritorno al rock, chitarre “vere”, registrate dagli amplificatori valvolari, basso ruggente, e un bel videoclip in stile “noir”. Ne sono pienamente soddisfatto.
Qual è la cosa più difficile da trasmettere al pubblico?
L’emozione.
Come nasce una tua canzone?
È come se la canzone esistesse già… stai suonando e ti arriva come un colpo di fucile. In quel momento l’hai catturata: è tua. Da lì in poi continui con una specie di formicolio sotto lo sterno.
C’è una canzone a cui sei particolarmente legato? E perché?
Tra le mie forse “l’uomo dei libri” per la storia vera che racconta. Tra le altre invece dovrei fare un lungo elenco… italiane, internazionali, dal folk al pop, dal blue’s all’heavy metal. Diciamo che oggi vince “I giardini di marzo”: la mia prima vera scossa emotiva. Ero molto piccolo, e ancora oggi mi volta via. Non serve che vi dica l’autore vero?
In questo momento dove sono concentrati i tuoi impegni artistici?
Nella preparazione del prossima stagione di concerti. Ho una nuova band, ho scelto la formazione “power trio” a me particolarmente congeniale, come si vede sul videoclip de “Gli occhi di Diabolik”, per capirci.
Nella tua vita privata che cos’accade nel frattempo?
Quando non sono chiuso nel mio studio a suonare, amo fare lunghe chiacchierate con il mio cane Joker (lo vedete sul mio profilo Instagram) che è un grande pensatore, specializzato in filosofia strutturalista. Per il resto corro per le campagne della bassa lombarda, sollevo pesi e bevo il vino.
Un’ ultima domanda: il senso della vita?
Sta nel suo rapporto con il tempo. L’uomo è generalmente ossessionato dal voler vivere più a lungo possibile. Io preferisco aggiungere vita agli anni, invece che anni alla vita.
Quando salgo sul palco in genere mi riesce di farlo.
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Franco Fasciolo