ella città messapica restano tracce delle mura Masseria La stura Carovigno
La città ha origini antichissime e il suo nome deriva dal messapico Carbina (dal greco “carpina” che significa “fruttìfera”). Della città messapica restano tracce delle mura, visibili alle spalle della chiesa nuova, e della necropoli. Nel 473 a. C. fu espugnata dai Tarantini. I Romani la chiamavano “Corvineum”; e i Carovignesi furono fedeli a Roma anche quando altre città si arresero ad Annibale. Dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente, fu dominata dai Visigoti, Bizantini, Longobardi, Normanni, Angioini, Aragonesi, Veneziani. Divenne feudo dei principi di Taranto e di varie famiglie nobili (De Loffreda, Caputo, Serra, Costaguto, Castaldi, Granafei, Imperiali, Dentice di Frasso). Il castello sarebbe stato costruito dopo la conquista di Carovigno da parte dei Veneziani (1483), da Raimondo del Balzo Orsini, intorno a una preesistente torre di avvistamento: è un tipo di fortificazione tardo medioevale ad impianto triangolare con torri ai vertici. I locali a piano terra e quelli corrispondenti sotterranei hanno conservato inalterata la struttura originaria. Durante il Risorgimento si costituirono a Carovigno una “vendita” di Carbonari e una sezione della Giovine Italia.
La chiesa matrice, che è dedicata all’Assunta, fu ricostruita nei primi dell’800 sulla struttura di un’antica chiesa edificata tra la fine del 1400 e l’inizio del 1500. Della vecchia fabbrica conserva, sulla facciata, un pregevole rosone e un frammento del portale con angelo in rilievo.
Di notevole interesse anche la storia del borgo di Serranova, che si trova a sei chilometri da Carovigno, verso il mare. Il nobile Ottavio Serra fece costruire nel 1629 un castello incorporando un torrione quadrangolare del XIV secolo. Le abitazioni sorte intorno costituirono il casale di Serranova. Addossata al castello è la chiesetta del Crocefisso, in cui è conservato un crocefisso in legno del 1700, cui i Carovignesi sono sempre stati molto devoti perché lo ritenevano giunto dal mare, a seguito di un naufragio. A quattro chilometri dall’abitato è il Santuario di S. Maria di Belvedere: dalla chiesa si scende in due ampie grotte comunicanti, e in una è l’edicola con l’affresco della Madonna col Bambino del sec. XIV.
A sette chilometri da Carovigno, sulla costa, è Santa Sabina, con una torre di forma stellare, che fu approdo della Carbina messapica sin dal VII sec. a. C., come testimoniano i frammenti ceramici rinvenuti sui suoi fondali; oggi è rinomato villaggio turistico. Il nome deriva molto probabilmente dalla santa venerata in una delle cripte rupestri del territorio, nei cui pressi era un villaggio preistorico, e dal rinvenimento in mare di una statuetta che la raffigura.
Sulla costa è anche la meravigliosa oasi ecologica di Guaceto, dichiarata “zona umida di rilevanza internazionale”, in cui convivono, fianco a fianco, bosco di latifoglie e macchia mediterranea. E’ il regno di tartarughe, ramarri, beccaccini, anatre, gabbiani, uccelli migratori. Vi è l’odore di rosmarino, alloro, mirto e lentisco. Guaceto fu abitato fin dalla preistoria: gli scavi hanno documentato la presenza di un esteso villaggio databile tra la tarda età del bronzo e la prima età del ferro. Il suo nome deriverebbe dall’arabo Gawsit, che vuol dire “acqua” o “fiume”, per la presenza nell’oasi di acqua dolce; ha una torre di avvistamento costruita nel XV secolo per contrastare gli sbarchi dei Saraceni, che devono aver comunque utilizzato notevolmente quell’approdo (molto probabilmente usato – con quello di Santa Sabina – già in epoca messapica), visto che l’arcivescovo di Brindisi Giovan Carlo Bovio, in un documento del 1565, chiamò Guaceto Saracinopoli.
Tessitrice – Foto coll. Mogavero-Pennetta
Una peculiarità importante dell’economia di Carovigno è stata l’artigianato tessile, anche in tempi recenti, ad opera di donne che lavoravano al telaio (la “tessitrice” è uno dei personaggi che simboleggiano le attività della terra di Brindisi, nella grande tela del salone di rappresentanza della Provincia, dipinta nel 1949 da Mario Prayer); ma vi sono ancora donne che lavorano completamente a mano tappeti, arazzi, coperte, tovaglie, impreziosite con decorazioni secondo tecniche tramandate da secoli.