Dubai La tratta delle schiave
“Preferisco non parlare con un giornalista: lo sono anche io e apprezzo il vostro lavoro, ma il rischio di essere allontanati dal Paese è alto; tuttavia, posso dire che la Chiesa ortodossa e le sedi consolari russe stanno svolgendo un buon lavoro di tutela delle ragazze che si trovano qui” spiega Jurgen, giornalista russo che lavora a Dubai e che segue il tema della tratta di donne dell’Est Europa sulle rive del Golfo Persico.
Meglio non parlare perché, come già accennato, gli Emirati Arabi Uniti non amano la cattiva pubblicità e chi lede la loro immagini può andare incontro a pene severe.
Nel corso dell’ultima intervista rilasciataci, Elisabetta Norzi (giornalista che da anni vive e lavora a Dubai) ha parlato di un invito lavorativo, una specie di visto con il quale il datore di lavoro permette all’aspirante impiegato straniero di recarsi e di risiedere negli EAU; documento che, purtroppo, è sfruttato come dalle organizzazioni criminali per attirare giovani arabe, ucraine, russe, moldave in cerca di occupazione e poi costrette a prostituirsi.
Lasciata alle spalle la capitale emiratina e seguendo le direttrici dello sfruttamento arriviamo in Siria e nella Repubblica Moldova, due Paesi che la guerra nel primo caso e un’assoluta povertà nel secondo, hanno reso invivibile per milioni di persone costrette a lasciare le proprie case e a cercare riparo e fortuna altrove.
Fortuna che non sempre, però, le assiste: la precarietà dello status di profugo, la mancanza di denaro e di tutela della legge, l’essere clandestini espone a rischi elevati di morte, rapina, rapimento.
Nell’aprile scorso, il giornalista Kareem Shaheen ha raccontato, sul The Guardian, la storia di 75 ragazze siriane catturate dai trafficanti mentre cercavano asilo oltre il confine libanese e vendute per 2000 dollari a sfruttatori che le costringevano a dieci rapporti giornalieri con clienti, questi ultimi pronti a pagare dai 30 ai 70 dollari per una prestazione.
Un giro d’affari lucroso per organizzazioni criminali che, senza alcuna remora, riducono in vera schiavitù persone delle quali, probabilmente, neanche si conosce l’esistenza in quanto clandestine.
“Avevano perso ogni aspetto della loro libertà, sui loro corpi e anche i loro pensieri” era stato il commento del colonnello Joseph Mousallam della polizia libanese inseguito all’operazione che ha portato alla liberazione delle siriane. Ma in Libano, alla piaga della prostituzione, va aggiunta quella dei matrimoni combinati sotto i 18 anni: spinte dalla necessità e dalla penuria di mezzi, le famiglie siriane accettano di dare in sposa le figlie ancora minorenni a uomini adulti, esponendole così al rischio di abusi e di schiavitù domestica.
La piaga della prostituzione minorile è diffusa anche in Algeria dove, secondo il giornalista Adel Soualah “un recente studio della Commissione nazionale per la promozione della salute e lo sviluppo della ricerca ha sottolineato che in Algeria il 20% delle prostitute, di ambo i sessi, non superi l’età di 20 anni”. Dalla ricerca, condotta su un campione di 749 individui, è emerso che le prostitute fra “i 22 e i 30 anni sono il 54%, quelle fra i 19 e i 21 il 14%, fra i 17 e i 18 anni il 5%, fra i 13 e i 16 anni l’1%. Un’altra percentuale, circa 11, riguarda i gay. Il mercato del sesso minorile è un problema grave, malgrado la legislazione in materia preveda pene severe”.
Bambini buttati sulla strada da trafficanti senza scrupoli o da famiglie che, per indigenza, hanno perso tutta la loro umanità: episodi di quotidiana barbarie, come quelli narrati da Curzio Malaparte ne La Pelle. È il settembre 1943 e, in una Napoli appena liberata e afflitta dalla miseria e dalla fame, fiorisce un odioso mercato di madri che mettono all’asta la loro “magra mercanzia” di figlie e di figli ancora bambini, dati per pochi dollari alle truppe coloniali degli anglo-americani. Cose che sembrano lontane e che invece accadevano nell’Italia dei nostri nonni, appena 70 anni fa e che ancora oggi succedono in Medio oriente, Africa ma anche in Europa, specie oltre il vecchio Muro.
Nella Repubblica Moldova, ad esempio, Paese poverissimo a Nord Est della Romania dove, secondo un recente rapporto del Dipartimento di Stato Usa (Moldova – Office to monitor and combat trafficking in persons) “è in incremento il fenomeno di avviamento allo sfruttamento sessuale di ragazze di età fra i 13 e i 15 anni. I turisti sessuali provengono dall’Unione Europea, dall’Australia, da Israele, dalla Thailandia e dagli Stati Uniti. La regione della Transnistria resta una fonte di traffici minorili. Altro problema della Moldova è l’ “official complicity”, vale a dire la complicità di istituzioni corrotte.
Una situazione grave che, in parte, giustifica l’imbarazzo delle autorità consolari quando chiediamo ci vengano esposte le politiche di Chisinau in materia di immigrazione e di contrasto agli illeciti. Per venirci in contro un funzionario consiglia di consultare il sito della Commissione nazionale per combattere il traffico di esseri umani, organizzazione governativa che, effettivamente, cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica su un problema assolutamente grave.
Ecco cosa scrive la Commissione nel report presentato lo scorso ottobre: “Nel 2015 sono stati identificati 242 vittime di THB (Traffick Human Being) adulte e 68 bambini vittime di tratta. Con riferimento al traffico esterno a fini di sfruttamento attraverso il lavoro, le aree di occupazione delle vittime sono stati soprattutto l’agricoltura, l’edilizia e le pulizie. I metodi di controllo delle vittime sono rimasti invariati: debiti finanziari fittizi, il ritiro dei documenti di identità, la violenza o la minaccia della violenza”.
Dunque, un impegno da parte governativa c’è, ma va considerato che un paese il cui Pil pro capite è di 5000 dollari difficilmente abbia gli strumenti, finanziari, per garantire un alto livello di sicurezza ai suoi cittadini. 5000 dollari pro capite: i 67 mila degli EAU, i 53 mila dell’Arabia Saudita e i 130 mila del Qatar aiutano a far capire perché una proposta di lavoro nel Golfo Persico possa essere tanto allettante per una giovane moldava. Allettante e pericoloso: associazioni come “La Strada”, nate per educare sulla piaga della tratta, narrano storie orribili di ragazze vendute dai genitori e anche dai fidanzati per prezzi che variano a seconda della “qualità” (bellezza, nda) della persona; secondo End Slavery Now, l’esasperazione per le diffuse violenze subite in ambito domestico spingerebbe molte donne ad abbandonare il paese finendo, non di rado, fra le mani di nuovi aguzzini.