Dalla discrezione all’orgoglio: Chanel va verso i 10 miliardi di $
L’understatement è per definizione un atteggiamento anglosassone, più che francese. Eppure i fratelli Alain e Gérard Wertheimer, proprietari di Chanel, l’hanno adottato alla lettera, distinguendosi da tante figure chiave della moda e del lusso, in Europa e non solo.
Per molto tempo Chanel non ha diffuso alcun dato economico o finanziario: la maison è stata ereditata dai fratelli Wertheimer dal nonno Pierre ed è sicuramente il gioiello del loro portafoglio, benché il patrimonio di Alain (69 anni) e Gérard (68 anni) vada ben oltre Chanel e il Bloomberg Billionaires Index lo valuti in 14,1 miliardi di dollari.
In assenza di dati certi o certificati su ricavi, redditività, percentuali di export e investimenti del marchio del lusso forse più famoso al mondo – anche grazie alla mitizzazione della fondatrice Gabrielle Chanel, detta Coco – si erano finora esercitati solamente analisti di settore, senza che mai i fratelli Wertheimer dessero loro la soddisfazione di una dichiarazione a margine. Quest’anno la strategia è cambiata: per la prima volta in oltre cento anni ci sono i dati ufficiali e persino un commento. Non dei Wertheimer ma del chief financial officer Philippe Blondiaux. «La nostra solidità finanziaria ci consente di restare indipendenti e di concentrarci sul lungo periodo – ha spiegato in uno stringato comunicato diffuso da Londra e con le cifre in dollari –. Continueremo a investire perché Chanel resti uno dei brand più iconici e innovativi del mondo». Sicuramente è uno dei più grandi e profittevoli. Nel 2017 i ricavi sono cresciuti dell’11%, sfiorando i 10 miliardi di dollari; l’utile operativo è arrivato a 2,7 miliardi (+22,5%), con un debito netto risibile, 18 milioni.
La sorpresa sta nella trasparenza, non nei dati in sé: ricavi, utili, tassi di crescita e investimenti (1,5 miliardi) non si discostano molto dalle stime degli analisti e mettono Chanel sul podio del lusso, poco distante da Louis Vuitton, pur in mancanza di dati ufficiali: ilgruppo Lvmh non dà i risultati delle singole maison (si veda l’articolo in pagina). Forse in futuro potrebbe farlo. Stimolato dall’intraprendenza di Gucci, lepre del settore. Forte di crescite a due cifre che non hanno precedenti per aziende della sua dimensione, la maison nata a Firenze nel 1921 appartiene all’altro grande gruppo francese, Kering, che, al contrario di Lvmh, segmenta i bilanci e sbandiera i suoi successi.
Altro che understatement. Italiana nell’anima, guidata da italiani (Marco Bizzarri è ceo, Alessandro Michele direttore creativo), produce tutto in Italia, dove il gruppo Kering, come Lvmh e Richemont, continua a investire. Con un po’ di orgoglio nazionale – accompagnato dalla gratitudine che dobbiamo ai francesi per aver fatto di Gucci un player globale senza intaccarne il Dna – potremmo dire che Chanel e Vuitton sono i più importanti marchi del lusso francese, Gucci lo è per l’Italia. E non vuole fermarsi: nel 2017 il fatturato è passato dai 4,3 miliardi del 2016 a 6,21 miliardi: un balzo del 42% Con una certa baldanza e scommettendo sulla sostenibilità dei tassi di crescita degli ultimi anni, il 7 giugno Marco Bizzarri, durante una presentazione agli analisti, ha detto di puntare al traguardo dei 10 miliardi in un futuro abbastanza prossimo. Forte dell’andamento del primo trimestre (i dati sul secondo e quindi sul periodo gennaio giugno saranno pubblicati il 26 luglio): i ricavi di gennaio-marzo sono arrivati a 1,4 miliardi (+48%).
Se la crescita annuale si mantenesse al 40%, già nel 2018 il fatturato sfiorerebbe i 9 miliardi. Il motore della crescita sono gli investimenti e qui la redditività di Gucci potrebbe fare la differenza. Negli ultimi anni l’e-commerce e ancora di più la comunicazione digitale hanno rivoluzionato moda e lusso.
I Millennials (nati dopo il 1980), già oggi assorbono un terzo delle vendite di alta gamma e pur essendo un universo variegato, hanno una cosa in comune. Non concepiscono l’attesa, la lentezza, lo scarto tra un annuncio e il suo concretizzarsi in qualcosa di reale. O meglio: acquistabile. Non solo: è importante riuscire a creare delle comunità, che nascono e si rafforzano sui social network e che vanno continuamente alimentate e stimolate. Per stare al passo, i brand hanno bisogno di idee, certo. E quelle non mancano né alla Gucci del duo Bizzarri-Michele né a Chanel e al suo direttore creativo, Karl Lagerfeld, l’highlander della moda. Ma servono, appunto, enormi investimenti e torniamo alla redditività. Nel 2017 l’ebit di Gucci è stato di 2,1 miliardi di euro (+69% sul 2016), con un’incidenza sul fatturato del 34%. L’utile operativo dichiarato da Chanel è al 28% delle vendite. Sarà una sfida bellissima, quella con Gucci. Perché sarà giocata a colpi di creatività, oltre che di eccellenza manageriale. Con giudici imprevedibili ma implacabili: i Millennials.