La scorsa estate 10mila abiti da sposa per un valore di 1,2 miliardi di dollari furono scaricati da un container proveniente dalla Cina e stipati in un magazzino a San Diego, California: la catena Alfred Angelo, uno dei più importanti retailer di moda da cerimonia degli Stati Uniti, al quale appartenevano, era fallita, lasciando nel panico le spose che aspettavano i loro abiti. Ieri Reuters ha riportato che lo storico concorrente David’s Bridal si è rivolto alla banca d’investimenti Evercore Inc. per tagliare i suoi debiti di oltre un miliardo di dollari. Se questo accade negli Stati Uniti, uno dei principali mercati per il bridal wear al mondo (2,5 miliardi di dollari sono stati spesi per gli abiti nel 2017, secondo l’autorevole “The Wedding Report”), è sintomo che il settore sta vivendo s e non una crisi, una fase di profondo cambiamento, che investe sia il tipo di abito che si cerca, sia l’esperienza del suo acquisto.
Alfred Angelo e David’s Bridal hanno puntato il loro business su produzioni “in stock”, confezionate spesso in Cina, e su un modello di acquisto obsoleto, fondato su negozi spersonalizzati. La tendenza, invece, è sempre più verso abiti ed esperienze di shopping il meno seriali possibile. La prossima edizione di Sì SposaItalia Collezioni (la bridal fashion week che si terrà a Milano dal 6 al 9 aprile) ospiterà per la prima volta una sfilata di capsule collection ideate da stilisti e influencer e realizzate da importanti aziende del settore, seguendo una tendenza sempre più diffusa mella moda in generale. In un Paese, come l’Italia, dove ci si sposa sempre di meno, il mercato dell’abito da sposa e da cerimonia vale 600 milioni di euro, secondo stime della manifestazione: per un abito si può spendere dai 1.400 euro nella grande distribuzione ai 3mila e oltre in boutique, cifre che salgono in mercati particolarmente attenti al tema bridal come il sud Italia; The Wedding Report rileva che negli Stati Uniti la spesa media è molto più bassa, pari a 1.220 dollari, conferma della predominanza del “pronto moda sposa” in quel mercato.
Internet è un altro fattore cruciale nell’evoluzione di questo settore: sempre secondo The Wedding Report, nel 2017 negli Stati Uniti le vendite di abiti da sposa sul web sono ammontate a 329 milioni di dollari, il 13% del giro d’affari totale delle nozze organizzate online, pari a 8,5 miliardi di dollari. I social, Pinterest e Instagram in testa, stanno sostituendo progressivamente i negozi fisici nella selezione degli stili preferiti, soprattutto grazie alle spose della generazione Millennials, che si sposano sempre più di rado e con budget più ridotti.
Drexcode porta l’abito da sposa nell’era della sharing economy
E che alimentano un’altra tendenza, declinazione della sharing economy, cioè il noleggio dell’abito dei sogni: «La scelta spesso ricade su un abito da sera, più che da sposa, scelto nel bianco ma anche in altri colori – spiegano Federica Storace e Valeria Cambrea, fondatrici della piattaforma Drexcode -. La scelta pertanto si amplia moltissimo, sia per i modelli tra cui scegliere, sia per i prezzi, compresi fra gli 80 e i 500 euro. Anche per i brand in assortimento abbiamo scelto proposte nuove, fresche, per un target evoluto».
Tuttavia, anche gli over 65 stanno sostenendo il mercato della moda “da nozze”: accade in Italia, uno dei Paesi con la popolazione più anziana al mondo, dove secondo l’Istat i matrimoni fra over 70 sono aumentati del 56% in dieci anni: anche per questo, fanno notare da Sì SposaItalia,le aziende del settore si stanno specializzando anche nella produzione di abiti da cerimonia, più adatti a spose agée.